Milano. Van Gogh il maestro dei girasoli, Van Gogh il pittore del manicomio e della pazzia suicida, Van Gogh il solitario artista immerso nella campagna (foto d’apertura: Vincent van Gogh, Salici al tramonto, 1888, Olio su tela su cartoncino. Kröller-Müller Museum, Otterlo), l’autodidatta senza molti appigli culturali. Questi sono solo alcuni degli stereotipi che hanno condizionato la narrazione al pubblico del mito di Vincent van Gogh (1853-1890). La tragica dimensione esistenziale del personaggio mette in ombra la vera grandezza creativa del genio olandese.
Van Gogh fu un pittore ma anche un intellettuale estremamente colto; e per comprendere la complessità della sua personalità, è importante mettere a fuoco non solo la sua poetica e la sua tecnica pittorica ma anche la ricchezza e la profondità degli interessi culturali che sono alla base della sua visione della vita e dell’arte. La mostraVincent Van Gogh. Pittore colto, che il MUDEC di Milano presenta al pubblico (fino al 28 gennaio 2024) intende andare proprio in questa direzione: ribalta la prospettiva dello stereotipo-Van Gogh e presenta un Vincent van Gogh meno outsider e più sorprendentemente aggiornato sul dibattito culturale del suo tempo.
La mostra è resa possibile grazie alla collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo, Paesi Bassi, che possiede una straordinaria collezione di dipinti e disegni del pittore olandese seconda solo a quella del Van Gogh Museum di Amsterdam. Dal museo olandese provengono circa 40 delle opere esposte.
Attraverso un percorso allo stesso tempo cronologico e tematico, l’esposizione propone una inedita lettura delle opere di Van Gogh attraverso lo sviluppo di due temi di grande rilievo: Il suo appassionato interesse per i libri e la fascinazione per il Giappone.
Si parte dalla prima fase della vita di Van Gogh, il periodo olandese, tra le brume del nord Europa. Van Gogh arriva a dicembre 1878 nel bacino carbonifero del Borinage in Belgio, dove si impegna come predicatore evangelico laico nella comunità dei minatori fino al 1880. L’artista faceva già dei disegni, ma è nell’estate di quell’anno che prende la decisione definitiva di diventare pittore. Il grande disegno elaborato a tecnica mista Le portatrici del fardello, rappresenta in modo realistico un gruppo di donne che trasportano sacchi di carbone con le schiene piegate in un paesaggio desolato. Sono il simbolo della fatica e delle sofferenze che segnano la condizione di vita dei poveri e diseredati della società.
Le vetrine dedicate ai riferimenti letterari ci raccontano di un Van Gogh profondo conoscitore della Bibbia, costante testo di studio e meditazione durante la sua missione da predicatore laico tra i minatori e anche dopo. Fondamentali per lui in questo periodo sono opere di scrittori contemporanei che affrontano grandi temi sociali, come Michelet che, con la sua monumentale Storia della Rivoluzione Francese, restituisce per la prima volta al popolo un ruolo attivo mettendolo al centro della dinamica rivoluzionaria, e Beecher Stowe con La capanna dello zio Tom, che denuncia la condizione degli schiavi in America. E poi anche Dickens, Hugo, e Shakespeare.
Di grande importanza per la sua formazione è Jean-François Millet, l’artista che, fin dall’inizio e per tutta la vita, ha influenzato maggiormente Van Gogh. Ed è per tale motivo che un focus specifico della mostra è dedicato a questo rapporto previlegiato.
Alla fine del 1881 Van Gogh si trasferisce da Etten (dove abitano i genitori) all’Aia, e per qualche tempo si esercita nello studio del pittore Mauve, suo parente, ma poi interrompe i rapporti. Nel gennaio 1882 inizia il suo legame con Clasina Maria Hoornik (detta Sien), una povera prostituta incinta e con un figlio, che intende sposare per salvarla dalla sua condizione. Il progetto provoca l’indignazione dei famigliari, e dopo un anno e mezzo di convivenza si separa da lei. Van Gogh raffigura Sien nel famoso disegno Donna sul letto di morte esposto in mostra.
In questo periodo Vincent vorrebbe guadagnarsi da vivere diventando illustratore: colleziona quasi duemila illustrazioni che cataloga e studia giorno e notte, in particolare dal The Graphic, settimanale inglese illustrato. Nel luglio del 1882 Vincent scopre il padre del naturalismo francese Émile Zola, che diviene più che un preferito, leggerà, leggerà “tutto” di lui. Rilegge tutta l’opera di Charles Dickens, lo scrittore che denuncia la povertà della Londra dei suoi giorni, e ne studia le illustrazioni.
Dopo aver lasciato Sien nel settembre 1883, trascorre un periodo in solitudine nella regione della Drenthe e a dicembre ritorna dai genitori a Nuenen (dove il padre era stato trasferito). Qui, in due anni di intenso lavoro, disegna moltissimo e dipinge circa duecento quadri dai toni scuri e terrosi. Realizza delle nature morte come I nidi, i paesaggi, e una serie di studi di teste e ritratti di contadini. E realizza la sua prima grande composizione, I mangiatori di patate.
Il periodo parigino – che dura due anni, dal febbraio 1886 al febbraio 1888, segna una svolta fondamentale della sua ricerca. Grazie a Theo, direttore di una filiale delle Gallerie Goupil, entra in contatto con l’ambiente artistico più avanzato, quello degli impressionisti e neoimpressionisti. Nella sua pittura scompaiono le drammatiche tonalità scure e i temi sociali più pauperisti, e la sua tavolozza diventa cromaticamente più viva e luminosa con l’adozione di una tecnica impressionista e “pointilliste” elaborata in modo molto personale.
Grande è la curiosità di Vincent per tutti gli aspetti della cultura. In particolare, conosce a fondo la storia dell’arte anche delle ultime tendenze, attraverso manuali, monografie, riviste, stampe originali e riproduzioni e visite di musei e gallerie. Frequenta per breve tempo lo studio del pittore Fernand Cormon dove incontra Henri Toulouse-Lautrec e Émile Bernard che diventano suoi amici. Insieme a Bernard e Paul Signac va a dipingere paesaggi a Asnières.
In omaggio ai romanzi parigini, i libri diventano anche soggetti dei suoi quadri. Nella luminosa Natura morta con statuetta e libri (1887) vediamo al centro Bel-Ami di Guy de Maupassant e Germinie Lacerteux dei fratelli Goncourt che considera dei capolavori perché raccontano “la vita così com’è”. Ad attirare magneticamente l’attenzione, fra i quadri parigini, spicca l’eccezionale Autoritratto (foto d’apertura), uno dei più intensi in assoluto, dipinto con tonalità chiare e pennellate tratteggiate.
In quel periodo Parigi era invasa dal fenomeno del Giapponismo, che non risparmiò di certo Van Gogh che nutriva un forte interesse per le stampe giapponesi, che saranno una fonte di ispirazione per la sua pittura e di cui diventa appassionato collezionista.
Van Gogh si trasferisce ad Arles nel 1888, alla ricerca della luce. Ad Arles affitta delle stanze nella “Casa Gialla”, dove sogna di fondare una comunità di artisti. Lontano da Parigi, a contatto con la natura la sua pittura ha un’evoluzione decisiva e si caratterizza per una straordinaria vitalità cromatica e luminosa. Dipinge paesaggi della campagna circostante (con alberi in fiore e campi di grano) delle marine a Saintes-Maries-de-la-Mer, scene notturne di caffè, interni della sua stanza, nature morte come quelle famose con i girasoli, autoritratti e ritratti di personaggi del posto (i coniugi Ginoux, il postino Roulin, lo Zuavo, la Mousmé…).
Il 23 ottobre del 1888 arriva ad Arles Paul Gauguin. I due pittori vivono e lavorano insieme, ma il sodalizio dura sono fino al 23 dicembre, quando dopo una lite Van Gogh si taglia un orecchio. L’artista si rimette dalla crisi e riprende a lavorare, ma l’8 maggio decide volontariamente di essere internato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole.
In mostra sono esposti paesaggi straordinari come Salici al tramonto (1888), Frutteto circondato da cipressi (1888), La vigna verde (1888), dalle quali è possibile intuire il nuovo approccio ai colori e alle forme che Van Gogh mette in pratica as Arles, e uno dei ritratti più famosi, quello di Joseph-Michel Ginoux (1888), il proprietario del Café de la Gare di Arles, amico dell’artista. Il dipinto viene qui presentato a confronto con due stampe giapponesi di Utagawa Kunisada e Toyoharu Kunichika. Sono ritratti di attori del teatro kabuki, tipologia che ha sicuramente influenzato la produzione di ritratti di Van Gogh, con i loro colori intensi e senza sfumature e le campiture solide, delineate da forti contorni neri.
Nell’ospedale di Saint-Rémy Van Gogh ha a disposizione una stanza per dipingere. È colpito da frequenti crisi allucinatorie, ma nei periodi di relativa tranquillità dipinge con straordinaria intensità espressiva scorci del giardino dell’ospedale (come Tronchi d’albero con edera, Pini nel giardino dell’ospedale, Tronchi d’albero nel verde, Pini al tramonto); paesaggi di cipressi e uliveti nei dintorni (come Uliveti con due raccoglitori di olive); meravigliose scene notturne, e anche delle copie libere di opere di maestri amati come Delacroix, Rembrandt e Millet.
Quando decide di entrare volontariamente nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy, Vincent ritorna alle vecchie letture. Nei primi tempi non può uscire dalle mura dell’ospedale. Vuole rileggere tutto di Shakespeare, così chiede a Theo di inviargli l’opera completa nell’edizione di Dicks da uno scellino, presentata in quest’ultima sezione di mostra, nella vetrina dedicata ai libri.
Nelle opere di Van Gogh di questo periodo si fa sempre più forte il riferimento visivo agli stilemi delle stampe giapponesi: non un confronto puntuale perché non si tratta dello stesso soggetto, ma un riflesso molto forte a modelli iconografici orientali, come ci ricorda il confronto fra Paesaggio con covoni e luna che sorge e la Luna Autunnale a Ishiyama di Hiroshige o Il burrone (Les Peyroulettes) e Sull’isola di Enoshima sempre di Hiroshige. Il dialogo tra l’opera Tronchi d’albero nell’erba e la stampa di Hokusai Il passo di Mishima nella provincia di Kai, tratta dalla famosa serie delle Trentasei vedute del Monte Fuji, ci conferma che per Van Gogh è ormai completamente interiorizzata la lezione giapponese, che egli ha fatto parte vibrante del suo linguaggio.
La sua pittura incomincia a suscitare un certo interesse. All’inizio del 1890 espone al Salon Les XX di Bruxelles ed esce un articolo molto positivo su di lui scritto dal critico Albert Aurier. Nel maggio 1890 torna a Parigi dal fratello che ha avuto un figlio, e poi si trasferisce a Auvers-sur-Oise, dove il 27 luglio si spara un colpo di pistola, e muore due giorni dopo.
La mostra al Mudec “Vincent van Gogh” ci fa scoprire un artista colto, che andava per musei, caratterizzato da un amore sconfinato per la lettura che lo accompagnò per tutta la vita, con obiettivi diversi – impiegato nelle gallerie d’arte, predicatore, pittore – ma sempre con un gran desiderio di imparare, capire, servire la gente, trovare il modo di essere utile all’umanità. Un cavaliere del socialismo utopistico di quel tempo che, come Millet, considerava il contadino un “uomo spirituale” perché a contatto – più di altri – con la natura e la terra, e perché più che in qualsiasi altro essere vivente o in qualsiasi altro luogo del mondo, era sui volti anneriti dei minatori e nelle mani rovinate dei contadini che Van Gogh vedeva manifestarsi la presenza divina più vera, quella che non smise mai di ricercare.
ORARI MOSTRA
Lunedì 14.30-19.30; martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9.30-19.30; giovedì – sabato 9.30-22.30. La biglietteria chiude un’ora prima (ultimo ingresso)
APERTURE O CHIUSURE STRAORDINARIE
Martedì 31 ottobre (Halloween), 9.30 – 19.30
Mercoledì 1 novembre (Tutti i santi), 9.30 – 19.30
Giovedì 7 dicembre (S. Ambrogio) 9.30 – 22.30
Venerdì 8 dicembre (Festa dell’Immacolata Concezione), 9.30 – 19.30ra, Van
Domenica 24 dicembre (Vigilia di Natale), 9.30 – 14.00
Lunedì 25 dicembre (Natale), 14.30 – 19.30
Martedì 26 dicembre (Santo Stefano), 9.30 – 19.30
Domenica 31 dicembre (San Silvestro), 9.30 – 14.00
Lunedì 1 gennaio (Capodanno), 14.30 – 19.30
Sabato 6 gennaio (Epifania), 9.30 – 22.30